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Stracchino o crescenza? No, Squacquerone!

Stracchino o crescenza? No, Squacquerone!

 
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Se la crescenza è un formaggio tipicamente lombardo, fatto con latte parzialmente scremato in soli dieci giorni, e lo stracchino, che pur ne condivide le origini, è fatto con latte intero e richiede il doppio del tempo per essere pronto, lo Squacquerone si distingue per la sua cremosità unica e l’elevata “acquosità” (fatto per il 60% acqua), fattore dal quale prende il nome in dialetto romagnolo.

Lo squacquerone – o squacquarone – DOP è un formaggio fresco a pasta morbida, quasi cremosa, che viene prodotto con latte vaccino intero proveniente dagli allevamenti della Romagna; è di colore bianco avorio e possiede un buon sapore di latte con un retrogusto amarognolo e leggermente acidulo. Di origine antica, prevalentemente contadina, veniva prodotto esclusivamente in inverno, perché solo l’aria ferma e l’umidità permettevano al formaggio di nonasciugarsi e creare la “buccia”, mantenendo inalterata la possibilità di “squacquerarsi” e di prendere la forma del suo contenitore. Oggi invece si trova tutto l’anno e, senza altre specificazioni, è un formaggio generico che quindi può essere prodotto ovunque, a differenza del blasonato squacquerone di Romagna che, essendo un formaggio DOP, può essere ottenuto solo nella zona designata, nel rispetto del relativo disciplinare.

Buono anche da solo, può essere impiegato in cucina con notevole versatilità. Ma soprattutto, è uno dei prodotti “per eccellenza” con cui viene farcita la piadina, altro prodotto tipico delle terre romagnole.
Inoltre, lo Squacquerone DOP romagnolo èottimo per chi ha problemi d’intestino. Secondo i nutrizionisti, è perfetto per contrastare i disturbi intestinali grazie all’abbondante carica di batteri buoni e al poco lattosio. Ma soprattutto, i formaggi freschi in generale possono benissimo far parte di una dieta per perdere peso: sono leggeri e hanno molto calcio, utile perfino per le donne in dolce attesa.

Lo squacquerone si produce come la crescenza, ovvero:
• aggiunta del caglio (previa addizione di fermenti per l’acidificazione) al latte 38-40 °C;
• ottenimento della cagliata e maturazione sotto siero per circa 90 minuti;
• nessuna cottura della pasta (come tutti i formaggi freschi e a rapida maturazione);
• rottura grossolana della cagliata;
• ulteriore espulsione del siero dalla cagliata tagliata e riposo;
• messa in stampo, breve stufatura e salatura, in tempi stretti (meno di 8 ore in tutto);
• maturazione per 4 giorni in ambiente refrigerato e con alta umidità, e consumo pressoché immediato.

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Macedonia di frutta!

Macedonia di frutta!

 
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La macedonia di frutta è una ricetta semplice e gustosa, realizzabile con fantasia in tutte le stagioni.

Secondo il modello sano della dieta mediterranea, è indicato consumare ogni giorno almeno due porzioni di frutta di stagione del peso di circa 150 g l’una, quindi scegliere colori diversi per assicurarsi quotidianamente il giusto apporto di minerali e vitamine, ma anche di antiossidanti e micronutrienti specifici.

L’importanza di questo accorgimento è stata sottolineata anche da una specifica campagna del Ministero della Salute e delle Politiche Sociali, che ha promosso una serie di iniziative con lo slogan “Mangia a colori”.

Ecco i principali frutti fra cui scegliere per comporre il proprio arcobaleno di bontà:
– la frutta viola, come uva nera, mirtilli, ribes, fichi, more e prugne, è una fonte di antocianine, carotenoidi, vitamina C, potassio e magnesio;
– la frutta verde, come uva e kiwi, apporta clorofilla, carotenoidi, magnesio, vitamina C, acido folico e luteina,
– mele, pere e banane appartengono al gruppo della frutta bianca e apportano polifenoli, flavonoidi e potassio;
– arance, limoni, mandarini, pompelmi, melone, albicocche e pesche appartengono alla frutta giallo-arancio: sono una fonte di flavonoidi, carotenoidi e vitamina C;
– la frutta rossa, infine, come anguria, arance rosse, ciliegie e fragole apporta licopene e antocianine.

Una buona macedonia, nel limite della disponibilità stagionale, dovrebbe contenere almeno cinque tipi di frutta di colore diverso!

Se ti abbiamo fatto venire voglia di frutta fresca, nessun problema: passa a trovarci e vieni a rinfrescarti con le nostre fantastiche macedonie!

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Ricetta piadina romagnola

Ricetta piadina romagnola

 
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È la regina dello street food italiano ed è amata da milioni di persone in tutto il mondo: stiamo parlando della piadina romagnola, una ricetta povera dalle origini antichissime, che si presta ad essere farcita con qualsiasi ingrediente vi suggerisca la vostra immaginazione. Dai più tradizionali come crudo, rucola e squacquerone, ai più innovativi come hummus, tofu o insalata di pollo, il risultato sarà sempre super appetitoso! Perfetta come piatto unico per un pranzo informale, la piadina può essere utilizzata anche per creare sfiziosi stuzzichini da servire come antipasto, come i rotolini con salmone, avocado e crema allo yogurt, oppure per realizzare un altro must della cucina romagnola, il crescione. Date sfogo alla fantasia e create la vostra piadina preferita… che sia dolce o salata, con la nostra ricetta non potrete sbagliare!
 
Ingredienti per 6 piadine del diametro di 22 cm:
– Farina 00, 500g
– Sale fino, 15g
– Strutto, 125g
– Bicarbonato, 1 cucchiaino e mezzo
– Acqua a temperatura ambiente, 170l
 
Preparazione:
Per realizzare la piadina romagnola, preparate l’impasto unendo in una ciotola la farina, il sale, lo strutto e il bicarbonato.Iniziate a impastare e aggiungete l’acqua in 3 volte, poi trasferite il composto sul piano da lavoro e continuate a lavorare fino ad ottenere un impasto omogeneo. Formate una palla, avvolgetela in un sacchetto per alimenti e lasciate riposare per 30 minuti.
 
Trascorso il tempo di riposo, rimuovete l’impasto dal sacchettino e formate un salsicciotto, poi dividetelo in 6 porzioni uguali. Date a ogni porzione di impasto la forma di una pallina lavorandola per circa 30 secondi in modo che diventi liscia e uniforme, poi avvolgetele nuovamente con un sacchetto per alimenti e lasciatele riposare per altri 30 minuti.
 
Trascorso il tempo di riposo, infarinate leggermente il piano da lavoro e tirate le palline con un mattarello fino a uno spessore di 2-3 mm. Scaldate bene una piastra e nel frattempo stendete ulteriormente le piadine, poi coppatele con un coppapasta del diametro di 22 cm.Ora cuocete le piadine su un lato per 2 minuti, ruotandole continuamente con una mano per assicurare una cottura uniforme, poi giratele e cuocetele per 2 minuti anche sull’altro lato, fino a che non risulteranno leggermente dorate. Una volta cotte, impilate le vostre piadine una sull’altra e farcitele ancora calde!

In Riva al Mare

In Riva al Mare

 
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Dicono che uno dei luoghi migliori per ritrovare se stessi è il mare… Vieni a gustare una delle nostre piade in riva al mare!

Poesia sulla Piada

Poesia sulla Piada

 
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La piada è talmente buona che anche Giovanni Pascoli le ha dedicato una poesia:
 
I.
Il vento come un mostro ebbro mugliare udii notturno.
Errava non veduto tra i monti, e poi s’urtava al casolare
piccolo, ed in un lungo ululo acuto fuggiva ai boschi,
e poi tornava ancora più ebbro, coi suoi gridi aspri di muto.
L’udii tutta la notte, ed all’aurora, non più. Dormii.
Sognai, su la mattina, che la pace scendeva a chi lavora.
Or vedo: scende. Scende: era divina l’anima.
Il cielo tutto a terra cade col bianco polverio della rovina.
Non un’orma. Vanite anche le strade.
La terra è tutto un sol mare e onde bianche, di porche ov’erano le biade.
Resta il mio casolare unico, donde esploro in vano. Non c’è più nessuno.
E solo a me che chiamo, ecco risponde il pigolio d’un passero digiuno.
 
II.
Sul liscio faggio danzi corra voli, Maria, lo staccio! e trpicchi giocondo,
vaporando il suo bianco alito fino, che si depone sul tuo capo biondo.
O lieve staccio, io t’amo. Il tuo destino somiglia al mio:
tener la crusca; il fiore, spargerlo puro per il tuo cammino.
E fai codesto con un tuo rumore lieto, in cadenza:
semplice ma bello per l’orecchio del pio lavoratore.
Ma triste, sotto mezzodì, per quello del viandante,
che rasenta i triti limitari del lungo paesello:
ch’ode un danzar segreto, ode tra i diti di donna sola, in ogni casa,
andare te, casalingo cembalo, che inviti lo sciame errante al tacito alveare.
 
III.
Taci, querulo passero: t’invito. Sempre diventa il tuo gridìo più fioco:
taci: or ora imbandisco il mio convito.
Il poco è molto a chi non ha che il poco:
io sull’arola pongo, oltre i sarmenti, i gambi del granoturco, abili al fuoco.
Io li riposi già per ciò. Ma lenti sono alla fiamma:
e i canapugli spargo che la maciulla gramolò tra i denti.
Nulla gettai di quello che non largo mi rese il campo:
la mia man raccoglie anche i fuscelli per il mio letargo.
Serbo per il mio verno anche le foglie aride.
Del granturco, ecco via via mi scaldo ai gambi e dormo sulle spoglie.
Ciò che secca e che cade e che s’oblia, io lo raccolgo: ancora ciò che al cuore si stacca triste
e che poi fa che sia morbido il sonno, il giorno che si muore.
 
IV.
Il mio povero mucchio arde e già brilla:
pian piano appoggio su due mattoni il nero testo di porosa argilla.
Maria, nel fiore infondi l’acqua e poni il sale; dono di te, Dio;
ma pensa! l’uomo mi vende ciò che tu ci doni.
Tu n’empi i mari, e l’uomo lo dispensa nella bilancia tremula:
le ande tu ne condisci, e manca sulla mensa.
Ma tu, Maria, con le tue mani blande domi la pasta e poi l’allarghi e spiani;
ed ecco è liscia come un foglio, e grande come la luna;
e sulle aperte mani tu me l’arrechi,
e me l’adagi molle sul testo caldo, e quindi t’allontani.
Io, la giro, e le attizzo con le molle il fuoco sotto,
fin che stride invasa dal calor mite, e si rigonfia in bolle:
e l’odore del pane empie la casa.
 
V.
Chi picchia all’uscio? Tu forse, Aasvero,
che ancora cammini per la terra vana, arida foglia per un cimitero?
Chi picchia all’uscio? …E fioca una campana suona… Chi suona?
Forse un vecchio prete, restato a guardia della tomba umana?
E’ solo; e ancora mezzodì ripete l’Angelus,
ed a rincasare invita, morti, voi, che sottoterra ora mietete.
Socchiudo l’uscio. Antica ombra smarrita, che in cerca erri del corpo;
ultima foglia, che stridi ancora dove fu la vita;
quel vento t’ha portato alla mia soglia, vecchio ramingo,
ultima foglia morta d’albero immenso che non più germoglia?
Ma tu sei vivo: hai fame! E qui ti porta necessità. Sei vivo: soffri!
Vivo sei: piangi! Ed ecco, dunque, apro la porta:
entra fratello, che ancor io …si, vivo.
 
VI.
Entra, vegliardo, antico ospite: ed ecco l’azimo antico degli eroi,
che cupi sedeano all’ombra della nave in secco
(si levarono grandi sulle rupi l’aquile;
e nella macchia era tra i rovi un inquieto guaiolar di lupi…):
il pane della povertà, che trovi tu, reduce aratore, esca veloce,
che sol s’intrise all’apparir dei bovi:
il pane dell’umanità, che cuoce in mezzo a tutti, sopra l’ara,
e intorno poi si partisce in forma della croce:
il pane della libertà, che il forno sdegna venale;
cui partisci, o padre, tu, nelle più soavi ore del giorno:
ognuno in cerchio mangia le sue quadre; più, i più grandi,
e assai forse nessuno; forse n’ebbe più che assai la madre,
cui n’avanza per darne un pò per uno.
 
VII.
Azimo santo e povero dei mesti agricoltori,
il pane del passaggio tu sei, che s’accompagna all’erbe agresti;
il pane, che, verrà tempo e nel raggio del cielo, sulla terra alma,
gli umani lavoreranno nel calendimaggio.
Che porranno quel di sugli altipiani le tende,
e nel comune attendamento l’arte ognun ciberà delle sue mani.
Ecco il gran fuoco, che s’accende al vento di primavera.
ma in disparte, gravi, sulla palma le bianche onde del mento,
parlano i vecchi di non sò che schiavi d’altri e di sè:
ma sembrano parole sepolte, dei lontani avi degli avi.
Guardano poi la prole della prole seder concorde,
e, con le donne loro e i loro figli, in terra sotto il sole,
frangere in pace il pane del lavoro.